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domenica 31 dicembre 2017

L’INDICE DI MALACHIA: LIBRI DELL’ANNO 2017.

Sono una lettrice bulimica. Leggo molto e velocemente ma tendo a dimenticare in modo altrettanto veloce diversi dettagli importanti, anche di libri che ho adorato. La cosa mi dispiace molto, mi sembra uno spreco di memoria, ma si sa che i nostri neuroni col tempo (ebbene sì!) si deteriorano e il nostro cervello a volte fa pulizia nostro malgrado.
Quindi ho pensato di mettere nero su bianco le mie impressioni o i passi che mi hanno colpita di più delle letture dell’anno che sta per finire. Qui sotto ci sono i titoli dei libri che ho letto negli ultimi mesi (alcuni non sono nella foto perché erano stati prestati o li ho prestati), ne conoscete qualcuno? Vorreste che vi parlassi di uno in particolare? Ma soprattutto, avete qualche titolo da consigliarmi? Sono tutta orecchi! 🤤

Giorgio Faletti, Appunti di un venditore di donne.
Natsume Sōseki, E poi.
Francesco Guccini, Un matrimonio, un funerale, per non parlar del gatto.
Gianrico Carofiglio, La regola dell’equilibrio.
Maj Sjöwall, Tomas Ross, La donna che sembrava Greta Garbo
Murakami Haruki, Nel segno della pecora.
Maeve Brennan, Il principio dell’amore.
Maigret n. 13 (Maigret perde le staffe, Maigret e il fantasma, Maigret si difende, La pazienza di Maigret, Maigret e il caso Nahour)
Piera Biondi, L’enigma di una breve primavera.
Andrea Marcolongo, La lingua geniale, 9 ragioni per amare il greco.
Natsume Sōseki, Io sono un gatto.


Per chi fosse come me affamato di libri, ho scritto diversi post sul MOZblog della serie “L’indice di Malachia”, che vi linko.

BUON 2018 in lettura!


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sabato 14 ottobre 2017

DANIEL DAY-LEWIS: CRONACA DI UN PREPENSIONAMENTO ANNUNCIATO. PARTE II.


Riprendiamo il nostro excursus della carriera di questo attore dopo il suo primo Oscar fino all'ultimo (noooo! 😱) film.

Nel 1992 interpreta, fisicatissimo, "L'ultimo dei Mohicani" da un altro classico della letteratura. Il mohicano bianco che corre rimarrà sempre nei nostri cuori... 





L'anno successivo gira il suo primo film con Martin Scorsese, il rarefatto e atipico, per il regista italoamericano, "L'Età dell'Innocenza", dal libro di Edith Warthon, con Winona Ryder e Michelle Pfeiffer.


Sempre nel 1993 il suo secondo film con Sheridan a tema irlandese, in omaggio alle origini del padre, dal titolo "Nel nome del padre", per l'appunto, con cui sfiora ancora l'Oscar, entrando nei panni lisi e nella cella di Jerry Conlon, ragazzotto irlandese accusato ingiustamente insieme al padre di terrorismo. Inutile dire che, per girare la scena dell'interrogatorio in carcere, si fece tenere sveglio tutta la notte in una cella.


Ormai il ragazzo ha poco da dimostrare al mondo, (anche se lo farà, oh, se lo farà...) e le sue interpretazioni si diradano, centellinate sempre di più.

Nel 1996 gira "La seduzione del male", storia di caccia alle streghe da un dramma di Arthur Miller (aridanghete, la letteratura!), sul set del quale conosce Rebecca, figlia del drammaturgo, con la quale è tutt'oggi sposato. 


Dopo una vita sentimentale variegata e burrascosa mette così la testa a posto; sue presunte vittime volontarie Juliette Binoche, Julia Roberts e Winona Ryder, oltre a Isabelle Adjani, madre del suo primo figlio Gabriel-Kane, lasciata incinta, pare, via fax, (il WattsApp dell'epoca).



Nel 1997 terzo film a sfondo irlandese con Sheridan, "The boxer", in cui per interpretare un pugile ovviamente diventa un mezzo campione, facendosi rompere il naso chissà quante volte.


A questo punto si ritira a Firenze, forse in una camera con vista, in zona Santo Spirito, con la moglie e il secondo figlio appena nato e lì trova "lavoro" presso un artigiano che produce scarpe di lusso su misura. La leggenda narra che una sera, per spazzare il laboratorio, abbia fatto aspettare Sting (un'altra star inglese affascinata dalla Toscana) che era venuto a prenderlo per assistere ad un suo concerto e che quindi per colpa del meticoloso attore lo spettacolo sia cominciato con notevole ritardo!


Solo Martin Scorsese riuscì a stanarlo dal suo esilio fiorentino per l'esplosione di violenza di Bill il Macellaio in "Gangs of New York". Non fu Oscar per la terza volta dopo la nomination ma pazienza, sarà per il prossimo film.




Negli anni successivi si concede solo alla regia della moglie Rebecca Miller nel 2005 in "La storia di Jack & Rose" del 2005, e nel 2007 per uno dei giovani registi più promettenti di Hollywood, Paul Thomas Anderson, in un film veramente duro, "Il petroliere", dove interpreta il cercatore di petrolio Daniel Plainview, ruolo per il quale vince il suo primo Golden Globe, il premio Bafta (il terzo dopo Il mio piede sinistro e Gangs of New York) e il suo secondo Oscar.



Nel 2009 recita invece nell'unico film di questo attore che non vi consiglierei di vedere: il musical all stars "Nine", ispirato a 8½ di Fellini, diretto da Bob Marshall, con Sofia Loren, Penelope Cruz,  Marillon Cotillard e Nicole Kidman. La scena che mi ha lasciato più perplessa è quella in cui un'italiana esorta in inglese altri italiani ad essere italiani. Mah...


Nel 2013 Daniel si rifà alla grande interpretando un gigante della Storia, Abraham Lincoln, con il quale condivide un'innegabile somiglianza fisica, diretto da un altro gigante, Steven Spielberg. Vince d'ufficio il suo terzo Oscar, oltre al secondo Golden Globe e al quarto BAFTA.



Nel 2017 è tornato a lavorare con Paul Thomas Anderson in  "Il filo nascosto" (traduzione secondo me poco riuscita di “Phantom thread”, “Il filo fantasma”, che avrebbe forse reso maggior giustizia alla trama, proprio il caso di dirlo, del film),  in uscita in Italia il 22 febbraio 2018, un film ambientato nel mondo della moda nella Londra degli anni Cinquanta, l'ultima  pellicola impressionata, letteralmente, dal talento di questo attore.

“Il filo nascosto” racconta maniacalmente una storia di maniacalità. Probabilmente lo stile calligrafico della pellicola spiazzerà i fans del regista e sceneggiatore Paul Thomas Anderson (“Magnolia” e il già citato “Il petroliere”), ma a ben vedere anche questo film trasuda violenza. La vicenda narra di un amore al veleno, una sorta di dipendenza reciproca, con un finale che svela la vena sadomasochista della relazione.
La sceneggiatura è ispirata in parte alla figura dello stilista Balenciaga, in parte a Dior; il particolare di cucire messaggi dentro gli orli viene da Alexander McQueen, che pare abbia cucito la scritta "I am a cunt" ("Sono uno stronzo") in una giacca destinata a Carlo d'Inghilterra.



La completa aderenza al personaggio di Reynolds Woodcock è testimoniata dalle dita dell’attore bucherellate dall'ago, dal fatto di aver addirittura confezionato un modello di Balenciaga sulla moglie Rebecca per meglio calarsi nel ruolo; ha scelto personalmente le calze purpuree indossate nel film in uno storico negozio romano di articoli ecclesiastici, ed è stato capace di recitare anche con quelle.
Un punto dolente, secondo me, è il doppiatore italiano, che trascina troppo le parole, quasi biascicando, caratteristica che non ho colto nella versione originale del trailer.

Nel complesso un film di non facile visione (l’attrice Jennifer Lawrence ha candidamente confessato di non aver resistito tre minuti 😔) ma dall’estremo rigore narrativo ed estetico. I vestiti, poi, sono splendidi!


Sarà quarto Oscar? 
Tutti sperano in un ripensamento ma chi lo conosce dice che se Daniel dice che si ritirerà dalle scene, lo farà. Io propongo di far smettere di recitare Steven Seagal al suo posto. Voi?


Fatemi sapere se conoscevate questo attore, se avete visto qualcuno di questi film o se vi ho messo voglia di vederne uno in particolare.  Alla prossima!


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venerdì 29 settembre 2017

DANIEL DAY-LEWIS: CRONACA DI UN PREPENSIONAMENTO ANNUNCIATO. PARTE I.


C'è chi ha proposto liste di attori che avrebbero potuto smettere di recitare al suo posto, tutti gli altri non se ne fanno una ragione ma lui, Daniel Day-Lewis, con quel doppio cognome, il naso aristocratico e una dose di talento attoriale veramente doppia, non ha mai parlato a vanvera. Se dice che si ritirerà  dalle scene, lo farà.


Come quando nel 1989, a metà di una replica dell'Amleto, abbandonò la scena per mai più calcare un palcoscenico teatrale, secondo alcuni perché avrebbe visto, come il principe danese, il fantasma del padre, morto quando lui aveva quindici anni.


Il poeta laureato Cecil Day-Lewis non fece dunque in tempo a vedere il figlio recitare sulle orme della madre, attrice di teatro nella migliore tradizione inglese. Ma la leggenda narra (la notizia non è accreditata) che l'esordio cinematografico fu sotto la stella del cinema di qualità, nella parte di un teppistello in una fugace comparsata in "Domenica, maledetta domenica" di John Schlesinger.

Daniel a destra, con i genitori e la sorella.
Il ruolo probabilmente non fu casuale, se è vero quello che in seguito dichiarerà: figlio di un poeta affascinato dal socialismo, venne mandato in scuole pubbliche in cui, per non farsi prendere di mira dai figli del popolo, dovette imitarli nel loro gergo e negli atteggiamenti aggressivi che li contraddistinguevano, così da dare il la a una carriera che già aveva nel sangue.

Quindi, corsi all'Old Vic Theatre di Londra e una serie di film per la TV inglese che già ne misero in luce il talento pignolo e caparbio nel tenere la traccia, fino a azzannare il personaggio da interpretare.

Il 1982 lo vede impegnato in un ruolo marginale ma, ancora, da bullo: in "Gandhi" fa passare un brutto momento al pacifista più famoso della storia.




Nel 1984 ancora un ruolo ingrato nel "Bounty", in cui giganteggia Anthony Hopkins come capitano e gigioneggia Mel Gibson come il bel ribelle, mentre a lui tocca la particina dell'ufficiale antipatico e artificialmente brizzolato.

Qui sembra Miguel Bosé.


Il 1985 è l'anno della svolta: Daniel interpreta dapprima un personaggio quasi comico, ingessato e letterario, il Cecilio di "Camera con vista", film di Ivory dal bel romanzo di E.M. Forster,  un fidanzato dei primi del Novecento freddo e compassato che non regge il confronto con il tormentato e impulsivo ragazzo conosciuto dalla protagonista in Italia. Mio film di culto anche per le splendide scene fiorentine e la colonna sonora di Puccini ("O mio babbino caro").




Nello stesso anno gira "My Beautiful Laundrette", di Stephen Frears, uno dei film più delicati girati sul tema del razzismo e dell'omosessualità. Ancora bullo di quartiere ma dal cuore tenero. 




Altro salto di qualità quando, nel 1988, incarna il chirurgo sciupafemmine nella trasposizione cinematografica del caso letterario dell’epoca, “L’insostenibile leggerezza dell’essere” di Milan Kundera, con Juliette Binoche.




Ma la fama mondiale lo investe quando interpreta il ruolo dell'artista tetraplegico Christy Brown ne "Il mio piede sinistro", di Jim Sheridan, vincendo il suo primo Oscar nel 1990. Per interpretare questo personaggio, l'attore non scendeva mai, nemmeno nelle pause di lavorazione, dalla sedia a rotelle, mantenendo la postura rattrappita del protagonista ed è proprio questa full immersion nei ruoli di volta in volta interpretati la cifra distintiva del suo essere attore.




Il cambiamento è un'altra delle sue caratteristiche: non un ruolo nemmeno lontanamente simile all'altro, tanto che in Italia non riusciamo ad assegnargli un doppiatore stabile. Chi potrebbe immaginare Harrison Ford o Tom Cruise senza la loro "voce"? Daniel Day-Lewis cambia in maniera così repentina in ogni film, che non sembra essere la stessa persona, non ha una faccia e una voce propria.

Ma lasciamo per la prossima volta i film più recenti. 

Fatemi sapere se conoscevate questo attore, avete visto qualcuno di questi film o se vi ho messo voglia di vederne uno in particolare.  Alla prossima!



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