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martedì 21 febbraio 2017

L'OPERA PER IMBRANATI: ROSSINI.

Da uno che nasce il 29 febbraio di un anno (ovviamente) bisestile dobbiamo aspettarci che sia una persona comune? Questa domanda forse se la posero anche il trombettista e la modista, diventata cantante, che si ritrovarono fra le braccia il pupetto nel lontano 1792. Da pochi mesi era morto Mozart, ma il sole tornò a splendere sulle sorti della musica con i vagiti di questo giovane pesarese, Gioacchino Rossini.



Fortemente svalutato fino al secolo scorso, solo oggi forse se ne è compresa la portata musicale, oltre alla comicità surreale. Strepitoso il suo successo presso i contemporanei, finché non decise di ritirarsi più o meno a vita privata, poco più vecchio del suo idolo Mozart quando morì. Amava a tal punto il salisburghese e Haydn, che venne soprannominato "il tedeschino" quando, tredicenne, componeva le sue prime opere.

Ritratto “mozartiano” del giovane Rossini.
Come al solito, procediamo un po' a caso secondo le mie sconclusionate esperienze di ascolto.
Trovai, probabilmente in occasione del bicentenario della nascita del musicista, una cassettina (una prece per la scomparsa audiocassetta) de "L'italiana in Algeri"(1813), che il contemporaneo Stendhal definì "una follia organizzata e completa".
L'idea della follia, intesa come divertimento assoluto e senza freni, torna spesso in Rossini, che aveva in comune con Mozart una gran voglia di giocare.
Ascoltiamo ora l'Ouverture (l'inizio) dell'opera, che sfido chiunque a non conoscere (abbiate pazienza, tutte le Ouvertures cominciano piano e per arrivare al dunque ci mettono un po').



Dal concerto di Capodanno 2018 alla Fenice di Venezia. 


Come si può sentire, l'impronta mozartiana si sente, ma c'è un che di popolaresco e ridanciano che lo fa sembrare... un Mozart suonato dalla banda (questa è solo una mia impressione, ingiusta sia con Rossini, sia con molte Filarmoniche)!


Quest’opera racchiude inoltre un’inconfutabile verità: nell’aria che, come sempre, prende il nome dalle prime parole del testo si canta Le femmine d'Italia son disinvolte e scaltre, e sanno più dell'altre l'arte di farsi amar. Nella galanteria l'ingegno han raffinato, e suol restar gabbato chi le vorrà gabbar.”


Un’edizione del 2006 per la regia di Dario Fo.

La biografia di Rossini è un susseguirsi di aneddoti, sospesi fra storia e invenzione. Si narra, per esempio, che egli abbia composto l'aria "Di tanti palpiti", diventata famosissima all'epoca, in quattro minuti, il tempo di far finire di cuocere il riso per cena, tanto che diventò nota come "l'aria del riso".


Una caricatura di Rossini alle prese con gli spaghetti.
L'opera da cui è tratta, il "Tancredi", venne rappresentata in un anno chiave per la storia della musica, il 1813: nascono Giuseppe Verdi e Richard Wagner, in uno di quei nodi temporali che forse, più che avere un senso reale, servono agli studenti per ricordare la lezione.
L'aria viene cantata da un contralto, voce al confine fra uomo e donna, e il personaggio è maschile.



Con "Il barbiere di Siviglia" (1816)  Rossini si confronta con un testo (di Beaumarchais) già sfruttato sei volte, come abbiamo visto anche da Mozart. Infatti il Nostro inizialmente non utilizzò il titolo che poi ha assunto a furor di popolo, perché l'omonima opera di Paisiello aveva avuto un successo enorme, e chiamò la sua versione "Almaviva, o l'inutile precauzione". Mai precauzione fu più inutile, perché la prima fu un fiasco totale, forse a causa di una contestazione organizzata dagli impresari del teatro concorrente, forse per la chiusura mentale dei sostenitori di Paisiello o forse perché veramente troppo nuova e anticonvenzionale per l'epoca. Ma già alla seconda rappresentazione cominciò il successo ancora in atto di questo capolavoro, pieno di arie celeberrime.
Come già accennato, si tratta del prequel de "Le nozze di Figaro" di Mozart: qui nasce la storia d'amore fra Rosina, la futura contessa d'Almaviva (mezzosoprano) e il conte d'Almaviva (tenore, come tutti i giovani innamorati), che la conquista sotto il falso nome di Lindoro, contrastati dal tutore Bartolo (basso, come tutti i vecchi rompiscatole).


Rossini fu anche uno dei primi musicisti ritratti dalla neonata arte fotografica.
Cominciamo ovviamente dall'Ouverture, stranota anche per un punteggiato che rende il tutto ritmato e quasi ossessivo. Ripreso in una parodia dai burloni toscani di "Amici miei".





"Largo al factotum", se non la conoscete chiudete pure bottega!

Sì, proprio "Ah, bravo Figaro! Bravo, bravissimo!", quella lì!
Questo brano evidenzia meglio di altri che i cantanti rossiniani devono avere, oltre ad un gran fiato, uno spiccato senso dell'umorismo e del comico.




Un altro pezzo giustamente noto è quello cantato dal basso Don Basilio, il maestro di musica di Rosina, che espone l'impressionante teoria della calunnia con fredda determinazione, concludendo con uno dei crescendo che hanno reso celebre il compositore. Il testo è tristemente  attuale. Purtroppo negli anni Novanta Boncompagni ne volle fare una versione come sigla di "Non è la Rai" che potrebbe aver allontanato molti dall'opera!



La calunnia in versione Elio e le storie tese! 
   
Ancora più famosa "Una voce poco fa", cantata da Rosina, caratterino pepato, che si presenta docile come un agnellino ma pronta a saltar su "se mi toccano dov'è il mio debole". Praticamente l'inno del genere femminile.


Una virtuosis(ticis)sima Cecilia Bartoli. 


E ora... rullo di tamburi! Proprio in questo modo comincia infatti "La gazza ladra" (1817), la cui ouverture, se non fosse stata già stranota, lo sarebbe diventata per essere stata inserita nella colonna sonora di "Arancia meccanica" da Stanley Kubrik, uno che di musica si intendeva e che aveva un gusto finissimo nell'inserire un pezzo in contrasto o in analogia con la temperie del film e della scena. Qui (dal minuto 4:15) ha giocato sicuramente di contrasto, inserendolo in una sequenza di pestaggio.




Abbado.


Kubrik amava così tanto il "Cigno di Pesaro" da inserire nello stesso film un altro notissimo brano dall'Ouverture del Guglielmo Tell (1829), dove dopo un romantico, idilliaco inizio, Rossini sfodera la sua consueta verve e scodella per i pubblicitari di tutto il mondo una vera e propria manna dal cielo. Colonna sonora ideale per un raid di pulizie domestiche!




Muti (par condicio).

Questa è l'opera traguardo, in molti sensi, di Rossini, in cui rinuncia ai virtuosismi canori a lui cari per lasciare il posto a melodie di più ampio respiro, sconcertando non poco i contemporanei. Anche il tema è arduo, si parla della leggenda dell'eroe della Confederazione Elvetica, proprio quello costretto a colpire con un dardo una mela posta in testa al figlio.
I più... grandi di noi si ricorderanno sicuramente la sigla di apertura delle trasmissioni Rai che, se non vado errata, fino agli anni Ottanta veniva mandata prima della TV dei ragazzi, ovvero verso le quattro del pomeriggio. Proprio così, ragazze, non esisteva l'orario continuato come oggi e fino a quell'ora... monoscopio! Per me era l'Inno Nazionale, perché aspettavo in gloria i cartoni animati, che all'epoca venivano trasmessi in tempi e modi consoni ad un cervello infantile (un'ora al giorno, se avevi fatto i compiti, e ringraziavi anche il Cielo!)


  Sigla apertura trasmissioni Rai


Si tratta del finale di questa grandiosa composizione, l'ultima opera lirica composta da questo musicista, che Alessandro Baricco (bravo scrittore, divulgatore divino), analizza e commenta in questa trasmissione che vidi all'epoca e da cui rimasi affascinata per la competenza e facilità di comunicazione dell'autore. Non sono pienamente d'accordo con lui su alcuni giudizi ma bisogna ammettere che sono espressi con cognizione di causa.




"È difficile scrivere la storia di un uomo ancora vivo ... Lo invidio più di chiunque abbia vinto il primo premio in denaro alla lotteria della natura... A differenza di quello, egli ha vinto un nome imperituro, il genio e, soprattutto, la felicità." Questo scrive Stendhal nella sua prefazione alla biografia di questo genio della musica. Malgrado ciò, anche per una serie di malattie più o meno psicosomatiche, Rossini si ritira dalla scena musicale a soli trentasette anni e all'apice della fama, componendo solo opere da camera o musica sacra, capolavori come lo "Stabat Mater" e la "Petite Messe Solennelle" e vivendo prevalentemente a Parigi, dove morì il 13 novembre 1868. 
Qualcuno sostiene che si sarebbe ritirato perché schifato da un secolo "vigliacco e asino", da una civiltà rivolta "al vapore, la rapina, le barricate", dove non ci sarebbe stato spazio per il suo sano, corposo umorismo. In realtà con il Guglielmo Tell Rossini si dimostra all'altezza della nuova scena romantica, tanto da meritarsi l'apprezzamento da parte di Berlioz (che non era propriamente un suo fan) e Wagner. Ciononostante, colui che fu definito da Schubert "un genio straordinario" e fu omaggiato da Beethoven dall'inserimento dell'"aria del riso" nella seconda esecuzione della Nona Sinfonia, preferì rifugiarsi in una vita tranquilla e dedita ai piaceri della tavola. Innumerevoli gli aneddoti legati alla sua indolente golosità.



Era solito dire che l'unica volta che aveva pianto era quando un bel tacchino farcito ai tartufi gli era caduto da una barca nel lago di Como. Sempre con il tartufo, vanto della tavola marchigiana, era condita l'insalata che prende il suo nome e pare che, una volta che Wagner era andato a trovarlo nella sua villa di Passy, si fosse assentato a intervalli regolari per andare in cucina ad innaffiare una delicatissima lombata di capriolo.
Altri raccontano che una volta, dopo aver composto nel letto un'aria bellissima, gli fossero caduti i fogli in terra e, non avendo voglia di raccoglierli, abbia scritto un'altra aria, altrettanto bella.
La facilità con cui componeva era tale che la leggenda narra che riuscì a finire "Il barbiere", un capolavoro di circa cinquecento pagine, in meno di tredici giorni.
Morì nel 1868 a Parigi, venne sepolto nel cimitero degli artisti, il Père Lachaise, ma la sua salma fu traslata nel "tempio dell'itale glorie", la chiesa di S. Croce a Firenze dove tuttora riposa.



Si prova un’immensa simpatia per questo musicista, profondamente umano nelle sue vette di gioia e follia, come nei suoi baratri di depressione e rifiuto del mondo, non trovate?
Nel calderone delle sue opere si possono individuare distintamente gli ingredienti di quelle di Bellini, Donizetti e Verdi.

Se non ci credete, seguite le prossime puntate dell'"Opera per imbranati".

Chi scrive questa serie di post non è né una musicista né una musicologa. Se si è una di queste due cose, la lettura può nuocere gravemente alla salute. Segnalate eventuali sfondoni.

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