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martedì 11 luglio 2017

L'OPERA PER IMBRANATI: VINCENZO BELLINI.


 Bentornati a un'altra puntata della nostra carrellata molto poco seria sull'Opera.
Se non siete nati in questo secolo, forse ricorderete le ultime cinquemila lire della storia italiana, quelle verdi, con cui potevi comprare un paio di gelati di ragguardevoli dimensioni (quindi paragonabili come valore agli attuali cinque euro). Il personaggio che campeggiava sul lato principale era proprio lui, l'eternamente giovane Vincenzo Bellini, con il suo aspetto delicato e nordico, che testimonia inequivocabilmente il passaggio dei normanni nella città dell'Etna, Catania. Di lui possediamo solo ritratti pittorici perché, benché fosse più giovane di Rossini, non visse abbastanza da essere immortalato dalla novella arte fotografica.


Dalla casa in cui vide la luce nel 1801 si gode ancor oggi la vista del teatro greco, e qualcuno sostiene che avrebbe avuto in mente lo spettacolo delle rovine illuminate dalla luna, mentre componeva l'inno forse più bello dedicato al nostro satellite: "Casta diva", cavallo di battaglia di un'altra inimitabile diva, più umana che casta, Maria Callas.


Nato da una famiglia di musicisti, mostrò un precocissimo talento compositivo che lo portò alla Scala di Milano e all'Opera di Parigi. Purtroppo la morte lo colse in Francia nel 1835 a soli trentaquattro anni.
L'aggettivo che più spesso viene attribuito al lavoro di questo straordinario musicista è "cristallino":  ai riccioli e ai virtuosismi vocali ai quali aveva abituato la propria epoca Rossini, Bellini oppone uno stile personale, contraddistinto da una linea vocale chiara, limpida, cristallina, appunto. Questo lo porta a scrivere pezzi dalla semplicità quasi infantile ma nello stesso tempo, come spesso sono i bambini, geniale. La sua lezione venne accolta in particolare da Verdi, che lo richiama in molte linee melodiche.


Il Mogol di Bellini/Battisti fu il librettista Felice Romani: il loro sodalizio artistico si interruppe poi in modo brusco ma con i testi scritti da lui Bellini raggiunse indubbiamente le vette della propria produzione. Anche Bellini era prolifico e veloce come Rossini: due dei suoi capolavori videro la luce nello stesso anno, il 1831. Il perché di tanta produttività si spiega anche col fatto che le arie composte per un "Hernani", che non avrebbe mai visto la luce (se non qualche anno dopo ma ad opera di Verdi), furono riciclate da Bellini per i suoi due fiori all'occhiello: come quando inviti a cena degli amici e poi non vengono più. Che fai, butti tutto? No, surgeli...




Il primo di questi fiori, "La Sonnambula", è un'opera semiseria ambientata in un villaggio della Svizzera, che in questo periodo andava fortissimo (vedi il Guglielmo Tell di Rossini, di due anni prima), dove arriva un conte in incognito (Rodolfo, basso) che subito esprime il suo apprezzamento per le grazie della protagonista Amina (soprano), promessa sposa di Elvino (tenore), che diventa subito geloso.

L'opera completa.

Ma godiamoci l'idillio prima della tempesta, con la promessa d'amore.

"Prendi, l'anello ti dono" nell'interpretazione
della coppia d'oro Sutherland-Pavarotti

Il Conte in realtà era originario di quei luoghi ed esprime con la pacatezza della maturità la gioia nel rivederli. Chi abbia presente "Di Provenza il mare, il suol" dalla Traviata può capire quanto debba Verdi al catanese.

"Vi ravviso o luoghi ameni." László Polgár.

Per uno strano scherzo del destino (ma qui il caro vecchio Freud avrebbe da dire la sua...) la giovane fidanzata, che da tempo gira di notte per il villaggio in stato di sonnambulismo, tanto da alimentare la leggenda di un fantasma, entra nella stanza del conte e si stende sul suo letto. Per un'ulteriore strana coincidenza, i compaesani proprio in quel momento vanno a rendere omaggio al Conte, e Amina viene sorpresa in quella situazione compromettente, tanto che Elvino rompe il fidanzamento e, per non saper cosa fare, si mette anche con la proprietaria della locanda (Lisa, soprano), da tempo innamorata di lui.
Ma prima canta tutta l'amarezza per quello che lui crede un tradimento, e l'impossibilità di amare di nuovo, in un'aria che chiamare struggente è poco.

"Tutto è sciolto", Javier Camarena.

Alla fine si salvano capra e cavoli quando Amina si mostra a tutto il villaggio in camicia da notte nientepopodimeno che sul tetto del mulino dove abita, avvalorando la tesi del sonnambulismo sostenuta dal Conte. Baci, abbracci, scambio di gagliardetti e tutti felici e contenti.

Questa esile trama viene esaltata dal tono sognante e fiabesco dato da Bellini alle arie, che culminano con l'aria in stato di sonnambulismo e con la celebre cabaletta finale "Ah, non giunge uman pensiero", che esprime tutta la gioia della povera Amina per il ritrovato amore di Elvino con ricami finissimi e acrobazie vocali lievi e frizzanti come l'aria delle montagne svizzere.

"Ah, non credea mirarti"
Eva Mei, soprano aretina.

"Ah, non giunge uman pensiero"
Godibilissima versione comica e danzata con Natalie Dessay.

Il sonnambulismo era un tema molto di moda all'epoca, perché associata alla pazzia, che pochi anni dopo Donizetti celebrerà degnamente. Ma non corriamo...

"Arrivo dalla Scala; prima rappresentazione della Norma. Lo crederesti....... Fiasco!!! Fiasco!!! Solenne fiasco!!! Io non ho più riconosciuto quei cari Milanesi, che accolsero con entusiasmo, con la gioia sul viso, e l'esultazione nel cuore, il Pirata, la Straniera, e la Sonnambula; e pure io credevo di presentare loro una degna sorella nella Norma!".
Questo scriveva Bellini ad un amico alla fine di quel prolifico anno, il 1831.
Come abbiamo già visto con “Il barbiere di Siviglia”, molti capolavori dell'Opera furono accolti freddamente. Probabilmente la protagonista dell'epoca ebbe qualche difficoltà ad entrare in un personaggio quasi costantemente in scena, che ha una sola aria, per di più accompagnata dal coro.
Ma, come si suol dire, un Maradona non può rimanere in panchina e la Norma venne, già dalla seconda replica, apprezzata per quello che era.
Anche in quest'opera Bellini, con l'aiuto di Romani, esprime tutto il suo amore per le donne (era un dongiovanni impenitente e le nobildonne della Scala smaniavano per i suoi occhi azzurri), ponendone una come protagonista assoluta, tratteggiando una seconda figura femminile di rara delicatezza e facendo fare al maschio comprimario una figura non proprio splendida.
Questa è una delle mie opere preferite, in cui amore, morte, gelosia, amicizia e solidarietà femminile si intrecciano in un insieme armoniosissimo.
Il libretto è ispirato ad una pièce teatrale che ricordava molto la tragedia greca "Medea" che, abbandonata da Giasone, finì per uccidere per vendetta i figli avuti da lui. Diciamo che la Norma è un po' una Medea versione spaghetti… 🍝

L'opera completa.

La storia si ambienta in Gallia più o meno al tempo di Asterix. 😂
Norma (soprano) sacerdotessa d'Irminsul, ha da tempo rotto il proprio voto di castità per amore del proconsole romano Pollione (tenore), al quale in segreto ha dato due figli. Sempre per amore, cerca di tenere a bada i bollenti spiriti dei Galli, che vorrebbero ribellarsi, profetizzando la fine di Roma "per i vizi suoi" (non aveva fretta, la ragazza!).
Purtroppo il "crudel romano" alle sacerdotesse ci ha ormai preso il vizio, infatti sta pesantemente insidiando anche la novizia Adalgisa (soprano o mezzosoprano).
Ma ascoltiamo il brano che è universalmente riconosciuto come il capolavoro belliniano e, per molti, anche l'aria d'opera più bella mai scritta.
Norma, nella foresta sacra dei Druidi insieme al coro dei Galli, leva un inno alla luna, la casta dea del titolo, per calmare i venti di guerra e placare gli animi ma, in cuor suo, chiede ancor più che si calmi l'ardore dei sentimenti che la devastano, presagendo l'imminente tempesta che la travolgerà.
Molte altre l'hanno cantata degnamente ma l'esecuzione da cui partire per ascoltarne altre è quella di Maria Callas.
"Casta diva, che inargenti queste sacre antiche piante, a noi volgi il bel sembiante senza nube e senza vel."

Divina, malgrado il coro che entra ad casum.

Dicevamo che Pollione, per tenere alto l'onore del maschio italico, si stava portando avanti con la giovane Adalgisa la quale, in preda agli scrupoli di coscienza, confida a Norma i palpiti d'amore che la stanno distraendo dalla sua vocazione. Qui si dispiega una delle scene più belle dell'opera, in cui le due voci femminili, unite dallo stesso sentimento, creano un tessuto musicale finissimo. "Io stessa arsi così!" dice fra sé e sé Norma, alla descrizione delle sensazioni scatenate dall'ancora anonimo amante (che poi è lo stesso!).


 "O rimembranza!"
Montserrat Caballé con la Cossotto, notare il make-up...

Con tempismo perfetto arriva Pollione che, al grido di "Scellerata, che facesti?" scopre gli altarini (per l'appunto!) e scatena l'ira di Norma, che minaccia di uccidere i figli. Invano Adalgisa cerca di convincere Pollione a tornare con Norma ma, suonando il gong sacro, la sacerdotessa furente chiama a rapporto i Galli, annunciando che gli dei sono finalmente favorevoli alla rivolta, da propiziare con un sacrificio umano: il romano colto nell'atto di rapire Adalgisa e una sacerdotessa spergiura che merita la morte. Ma al momento di fare quel nome, Norma con un nobile gesto accusa se stessa.
Quando salgono entrambi sul rogo, i due ex amanti ritrovano l'unità e a Pollione vengono messe in bocca queste improbabili ma stupende parole: "Ah, troppo tardi t'ho conosciuta, sublime donna, io t'ho perduta!"

"Qual cor tradisti". Da 3:15.

Richard Wagner di quest'opera disse, con lapidaria concisione: “Di tutte le creazioni belliniane, Norma è quella che, accanto alla più ricca pienezza delle melodie, unisce l’ardore più intimo con la dignità più profonda.”  




L'Opera, essendo un prodotto tipico italiano, stimola spesso il palato, oltre che l'orecchio: la pasta alla Norma, cioè con le melanzane, deve la sua genesi ad un modo di dire diffusosi all'epoca del grande successo di quest'opera; "È una Norma" significava il non plus ultra, quindi questo tipo di piatto dagli ingredienti tipicamente siciliani venne battezzato così.


Il cocktail Bellini, invece, fu inventato a Venezia da Cipriani dell'Harry's bar in occasione di una mostra sul pittore Giovanni Bellini e quindi non c'entra nulla col nostro compositore.

Come sempre, ditemi se conoscevate queste opere o se avete qualcosa da aggiungere o qualche curiosità a riguardo. 


Leggi "Mozart. parte I" 
"Mozart parte II" 
"Rossini"
Chi scrive questa serie di post non è né una musicista né una musicologa. Se si è una di queste due cose, la lettura può nuocere gravemente alla salute. Segnalate eventuali sfondoni.


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