“Certo, andiamo a sciare o a far
passeggiate sulla neve, e ci ritroviamo la sera nelle taverne di legno degli
alberghi alpini a godere del tepore del camino. Ma si tratta di aneddoti, di
freddo turistico. Dov’è un freddo che occupa tutta la nostra esistenza?”
Il libro di Roberto Casati non è il
tipo di libro che mi attira, che avrei comprato. L’ha comprato e letto mio
marito in pochi giorni durante le vacanze di Natale e questa voracità, insieme
alle esclamazioni entusiastiche che ne scandivano la lettura, mi ha indotto a
prenderlo in mano e sfogliarlo. Non sono riuscita a staccarmene.
Non amo i saggi o i libri tecnici ma
questo è molto di più: racconta l’esperienza di un uomo di scienza (filosofo
delle scienze cognitive, dirigente di ricerca del CNRS presso l’Institut Nicod
a Parigi), che ha insegnato in diverse Università internazionali, e il suo
rapporto con il freddo durante una di queste trasferte.
In una casa di legno dal tetto
azzurro del New Hamshire persa nel nulla, quando arriva l’inverno il freddo non
è solo un fastidioso compagno di viaggio ma può diventare un micidiale nemico.
Non per nulla la polizia locale raccomanda di tenere in macchina delle candele,
utili a mantenere sufficientemente caldo l’abitacolo di una macchina rimasta
disgraziatamente in panne nel gelo. Tuttavia Casati non parla del freddo come
di un avversario ma come di una stimolante sfida, che lui raccoglie ogni
mattina fotografando in time lapse i ricami
del gelo sui vetri o le stalattiti di ghiaccio dal tetto, spaccando legna
supplementare per la stufa catalitica che tiene al caldo lui e la sua famiglia,
scaldando una pietra per il cane per
evitare di ritrovarlo surgelato in macchina se hanno voglia di una cena al
ristorante (gli Stati Uniti si rivelano molto inospitali nei confronti dei
quattrozampe), sperimentando la cottura inerziale: cinque minuti per salvare il
pianeta.
Ricco di spunti il passo sulla
ridondanza della natura, da cui dovremmo trarre ispirazione per le tecniche di
sopravvivenza in condizioni estreme, contrapposta alla logica moderna ormai
santificata dell’ottimizzazione, del risparmio “con
l’auspicio non tanto nascosto di risparmiare, un domani sulle persone.”
Invece la natura ci dà “due occhi, due polmoni, due
ovaie, due emisferi cerebrali; quindici modi diversi di misurare a vista la
distanza degli oggetti (...). Qualcosa può pur sempre rompersi, meglio avere
dei ricambi...”
Casati ci porta nel paradiso degli
sciatori di fondo, undicimila ettari di bosco in un punto non meglio precisato
del New England (acquistati da un misterioso magnate della Silicon Valley, che
offre rifugi riscaldati con cioccolata calda e scarponi); in maniera
altrettanto misteriosa, la sua localizzazione rimane un segreto fra pochi
eletti che l’autore non si dice disposto a rivelare nemmeno sotto tortura. Poi ci spiega che il disgelo (la cosiddetta mud season) non è affatto più semplice del lungo inverno.
Il libro è diviso in 171 capitoli e
altrettanti sarebbero gli aneddoti e le considerazioni stimolanti da riportare,
vi lascio il piacere della scoperta e vi linko un filmato veramente
interessante di Casati che illustra i suoi studi sulle ombre.
Avevate letto questo libro? Siete del partito del freddo o del caldo? Io odio l'inverno ma il nemico va conosciuto, e questo libro mi ha reso più consapevole di diversi fenomeni legati a questa stagione dell'anno.
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