Forse come molti di voi, nutro per i best sellers quell’istintiva antipatia che si ha per le cose troppo facili, scontate. Piace a tutti ma non a me. Spesso però mi sono persa qualcosa con questo atteggiamento, e negli ultimi anni ho abbandonato ogni remora. Leggo (non sempre compro, prendo in prestito da biblioteche o bibliofili) e se non mi piace, lo mollo.
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“Memorie di una geisha” ha un’altra caratteristica che in teoria mi avrebbe scoraggiata: il far leva sulla curiosità quasi morbosa di noi occidentali nei confronti di questa figura della società giapponese così affascinante e sensuale. Il libro mi è stato però consigliato da Francesca, una fedele seguace del blog, e dalla mia pusher ufficiale (mia madre), con la quale scambio volumi e passioni virali per scrittori e generi.
Cos’è una geisha? Una semplice prostituta? O qualcosa di simile ad un’etera greca? Non vi anticipo le risposte, più o meno definitive, a queste domande ma in queste poche righe tratte dal libro c’è, secondo me, tutta la pochezza del senso di superiorità dell’uomo occidentale nei confronti di un mondo che forse non capisce completamente.
La famosa geisha Mineko Iwasaki. |
“Da quando mi sono trasferita a New York ho capito che cosa significhi realmente il temine “geisha” per la maggior parte degli occidentali. Mi è capitato più di una volta di essere presentata, durante qualche ricevimento elegante, a questa o quella giovane donna splendidamente vestita e ingioiellata. Non appena costei viene a sapere che un tempo ha fatto la geisha a Kyoto, atteggia la bocca a una specie di sorriso (...) Naturalmente a questo punto non vale più neanche la pena di sforzarsi di parlare, perché la donna sta pensando: “Mio Dio... mi trovo con una prostituta...” Un attimo dopo viene salvata dal suo cavaliere, un uomo ricco che ha trenta o quarant’anni più di lei. Be’, spesso mi chiedo perché non si renda conto di quante siano le cose che abbiamo in comune. È una mantenuta, proprio come lo ero io, ai miei tempi.”
Un'immagine del film tratto dal libro. |
Arthur Golden delinea con straordinaria delicatezza la storia di Chiyo/Sayuri, nome d’arte che assumerà una volta diventata una professionista nel compiacere e intrattenere gli uomini, ma potrebbe essere la storia, purtroppo ancor oggi troppo comune, di una qualsiasi bambina nata in una famiglia povera, venduta e sfruttata per la sua bellezza.
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Collateralmente si deve rilevare la disputa fra l’autore (che all’inizio del libro presenta, con un artificio manzoniano, un alter ego olandese che pubblica le memorie di una ormai defunta Sayuri) e Mineko Iwasaki, una delle più famose geishe di Kyoto, irritata a tal punto dal fatto che fosse stato rivelato il suo nome nei ringraziamenti alla fine del libro, da contestare fortemente il contenuto del romanzo e scriverne la sua versione (dal pruriginoso titolo italiano “Storia proibita di una geisha”), che probabilmente leggerò, anche se pare introvabile.
Mineko Iwasaki |
L’interesse del libro non è soltanto nella trama, innegabilmente avvincente, e nella bella scrittura di Golden ma anche nella precisione con cui si tratteggia la vita quotidiana di una geisha nel periodo a cavallo della seconda guerra mondiale.
Sayuri ci prende per mano e ci conduce, dal miserabile villaggio di pescatori dov’è nata, fino a Gion, il quartiere delle geisha di Kyoto; le sue gioie, i suoi dolori, le sue nemiche (chi non ha avuto una Hatsumomo nella propria vita?) e i suoi alleati diventano i nostri.
La storia di Sayuri è una metafora forse un po’ melodrammatica ma efficace delle traversie che ognuno di noi deve subire per raggiungere, forse, (speriamo!) la pace agognata, “come un corso d’acqua che precipita su speroni di roccia prima di poter raggiungere l’oceano.”
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E voi? Avete letto il libro o visto il film del 2006? Fatemi sapere! (Scusate la fissa per il Giappone, mi passerà…)
Le immagini del film "Memorie di una geisha" e quelle di Mineko Iwasaki sono prese dal web, pertanto potrebbero essere oggetto di copyright.
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